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26 giugno 2014

Il settimo sigillo (Ingmar Bergman, 1957)


L'immagine della Morte dal volto pallido e vestita di nero che gioca a scacchi sulla spiaggia con un crociato esausto e pieno di domande è penetrata nel profondo della memoria collettiva dei cinefili come King Kong sulla cima dell'Empire State Building, Humphrey Bogart che respinge Ingrid Bergman all'aereoporto, Janet Leigh pugnalata nella doccia o l'Incrociatore imperiale. Questa scena dal film svedese Il settimo sigillo riassume il momento, l'entusiasmo e l'impatto che ebbe un nuovo tipo di cinema quando le certezze di Hollywood stavano sgretolandosi: come spiegare altrimenti le parodie e i riferimenti che ricorrono in film differenti come Lo maschera della morte rossa (1964) di Roger Corman, Amore e guerra (1975) di Woody Allen, Last Action Hero - L'ultimo grande eroe (1993) di John McTiernan e Un mitico viaggio (1991) di Peter Hewitt, nell'ultimo dei quali la Morte gioca a Twister?

È un peccato che nell'immaginario collettivo questa scena sia giunta a rappresentare l'intero film. Dà la sensazione che l'opera sia apertamente solenne, una sorta di archetipo cinematografico di serietà e artisticità. Il realtà Il settimo sigillo, sebbene affondi le radici nei grandi temi del miglior periodo di Bergman, è un film giocoso e spesso comico, una favola medievale influenzata dall'entusiasmo del regista per i film di samurai di Akira Kurosawa. L'intenzione è quella di celebrare piaceri semplici quanto di rivelare compiessi tormenti.

Antonius Block (Max von Sydow), di ritorno dopo dieci anni da una sanguinosa crociata iniziata da un truffatore che ora si mantiene derubando i cadaveri, sente che la sua fede in Dio è un malanno da cui l'umanità dovrebbe guarire. Con il suo scudiero (Gunnar Björnstrand), un compagno di discussioni piuttosto che un aiutante, Block incontra la morte nella forma di un corpo deturpato dalla peste prima di incontrare l'implacabile Mietitrice. La partita a scacchi giocata dalla Morte e dal cavaliere ha in palio la vita del crociato ma simboleggia i suoi sentimenti verso Dio, la religione e l'umanità. Alla fine, l'alternativa giunge da una Sacra famiglia sui generis - un saltimbanco (Nils poppe), sua moglie sensualmente terrena (Gunnel Lindblom) e il loro innocente figliolo - che Block salva dalla peste unendosi volontariamente alla danza della Morte che pretende personaggi più corrotti e venali.

Se il cavaliere, che è costantemente tormentato da interrogativi su Dio e il vuoto (egli visita persino una presunta strega sul punto di essere bruciata per chiederle cosa sappia il diavolo di Dio), rappresenta un lato di Bergman, l'ingenuo girovago bonariamente rimproverato dalla sua pratica consorte ne rappresenta un altro, alla ricerca della redenzione nell'onesto intrattenimento e spaventato quando il suo innocente spettacolo viene eclissato da quello orribile - e approvato dalla Chiesa - di una folla di penitenti flagellati e torturati. Bergman prova sempre rabbia e tristezza per le cattiverie umane, specialmente quando sottostanno a presupposti religiosi, ma il film celebra anche l'amore fisico e spirituale, l'espressione artistica collettiva, il mangiare e il bere e la bellezza della natura. KN

Titolo Originale: DET SJUNDE INSEGLET Regia: Ingmar Bergman Interpreti: Gunnar Björnstrand, Bengt Ekerot, Nils Poppe, Max von Sydow, Bibi Andersson, Inga Gill, Maud Hansson Durata: h 1.36 Nazionalità: Svezia 1957






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Velluto blu (David Lynch, 1986)



La cruda violenza sessuale e l'impressionante ritratto di Dennis Hopper nei panni di uno psicopatico sadico che tiene in ostaggio la famiglia di una cantante per maltrattarla brutalmente ha provocato un uragano di controversie intorno a questo film oscuro, inquietante e irreale di David Lynch. La descrizione di Lynch della crudeltà, della perversione e dell'orrore che stanno appena sotto la superficie nell'America del ceto medio è spietata e avvincente. Velluto blu combina il mistero all'ironia e alla satira sulla cultura americana con un tono originale, allegro e leggermente stilizzato. Lo stesso mix vincente di stranezze inquietanti e oggetti familiari, dell'artistico e del commerciale, ha fatto della serie televisiva Twin Peaks il fenomeno culturale del 1990, generando numerose imitazioni.

Kyle MacLachlan e Laura Dern sono affascinanti nei ruoli di Jeffrey Beaumont e Sandy Williams, i giovani ingenui coinvolti nella macabra relazione fra il pazzo sequestratore omicida interpretato da Hopper (fra gli psicotici più indimenticabili del grande schermo) e la malconcia Dorothy Vallens (una coraggiosa Isabella Rossellini), la tormentata cantante di cabaret alla mercé di Booth, il quale tiene prigionieri suo marito e suo figlio. Lumberton è una qualunque cittadina americana, assolata, monotona, con i prati e le aiuole ben curati, una zona industriale e un anonimo ristorantino dove Jeffrey e Sandy uniscono le forze in qualità di detective dilettanti mentre tra di loro sboccia l'amore. Ma tutto è alquanto irreale: dalla scoperta di un orecchio umano in un prato da parte del curioso studente Jeffrey, alla sua ambigua lotta contro la criminalità, fino alla sua implicazione in uno strano disegno di morte.

La scena in cui Jeffrey, nascosto nell'armadio, è testimone dello stupro di Dorothy che indossa un abito blu è assolutamente controversa, ma anche un classico esempio del sangue freddo di Lynch. L'utilizzo ingegnoso di innocue ballate pop - la più ossessionante è quella del titolo originale, Blue Velvet - a integrare la colonna sonora da brivido di Angelo Badalamenti fa aumentare la suspense. AE

Titolo Originale: BLUE VELVET Regia: David Lynch Interpreti: Kyle MacLachlan, Dennis Hopper, Isabella Rossellini, Laura Dern, Dean Stockwell, Jack Nance, Brad Dourif, Hope Lange Durata: h 2,00 Nazionalità: USA 1986



20 giugno 2014

Ordet (Carl Theodor Dreyer, 1955)

Titolo Originale: ORDET
Regia: Carl Theodor Dreyer
Interpreti: Ann Elisabeth Rud, Birgitte Federspiel, Henrik Malberg, Preben Lerdorff Rye
Durata: h 1.59
Nazionalità: Danimarca 1955

Opera straordinaria e probabilmente migliore risultato del grande regista, l'adattamento di Carl Theodor Dreyer della commedia di Kaj Munk è davvero una rarità cinematografica.






Con scarsità di mezzi e nessun effetto speciale, Ordet riesce a convincere il pubblico che un miracolo possa accadere davvero. Il film racconta la storia dei Borgen, una famiglia di contadini uniti e amorevoli ma minacciati da tensioni interne, soprattutto a causa dell'indocile carattere di uno dei fratelli maggiori, che sembra aver perso la ragione dopo gli approfonditi studi di teologia. Non tutti però pensano che Johannes (Preben Lerdorff Rye) sia pazzo, e quando Inger (Birgitte Federspiel), la moglie di un altro fratello, muore, il figlio gli chiede di resuscitarla, cosa che Johannes farà per davvero alla fine del film. Di fatto, Dreyer lascia decidere allo spettatore se il riaprire gli occhi della donna sia semplicemente una questione spiegabile scientificamente o piuttosto frutto della forza della fede, ma la scena è straordinariamente potente, proprio perché il regista non dà spiegazioni né accentua il meccanismo drammatico del film: la scena persuade per il suo tono di quiete e per tutto ciò che la precede.

Per molti aspetti questo è davvero il più "realistico" o  "naturalistico" dei film che riguardano il potere della fede, dell'amore (in tutti i sensi) e dell'ultraterreno; Dreyer evita ogni trucco. Se le consumate ma ancora bellissime immagini in bianco e nero di Henning Bendtsens donano al cottage e ai campi dei Borgen una brillante qualità, i lunghi piani sequenza dal ritmo lento di Dreyer e la regia essenziale possono far pensare che il film sia un ordinario "dramma da camera". Solo la voce un po' infantile di Johannes pare strana, facendo dubitare della sua sanità mentale. La grandezza di Ordet si trova qui: quando avviene il "miracolo", il film ha già guadagnato il rispetto del pubblico per il suo carattere intimista: capiamo le persone sullo schermo perché le loro azioni, le emozioni, i pensieri e i dubbi sono i nostri. Quando Inger riapre gli occhi, siamo stupiti, felici, veramente sorpresi, proprio come i personaggi del film. Anche se Ordet non converte alla fede, siamo certi di aver assistito a un momento di arte cinematografica al suo grado più alto. GA

1001 FILM - I GRANDI CAPOLAVORI DEL CINEMA - a cura di STEVEN JAY SCHNEIDER - pubblicato da ATLANTE srl








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